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Il bagaglio dei viaggiatori del ‘700 e ‘800

– Comfort
– Visione romantica
– Goethe
– Dimmi cosa porti
– La valigia
– Breve storia della valigia
– Corredo femminile
– Corredo maschile
– Biblioteche da viaggio
– Il necessaire
– Optionals
– Anti ribaltamento
– Occhiali da sole
– Il viaggiatore più trasandato

Comfort
Come si è evoluto il bagaglio del viaggiatore dal Medioevo ai giorni nostri? La tecnologia dei materiali ha fatto passi da gigante anche in questo campo, basta pensare a quando gli esploratori si portavano tonnellate di materiale occorrenti per mesi se non anni, tanto durava un viaggio. Non era necessario essere un esploratore del calibro di O’Hara Burke o Henry Morton Stanley per portarsi appresso un’infinità di oggetti frutto di una disperata necessità, bastava essere un ricco viaggiatore del Settecento e Ottocento. Oltre alle necessità di portare in viaggio oggetti altrimenti introvabili, il motivo per cui i viaggiatori del ‘700 e ‘800 sono degni di menzione è un altro: il comfort.

Visione romantica
Per appagarsi dall’inevitabile disagio di un viaggio in carrozza o a cavallo, erano indispensabili moltissimi e curiosi strumenti da viaggio. Oggetti più o meno superflui, rivisti al presente, poiché oggi si predilige la praticità a scapito dell’aspetto romantico che un viaggio dell ‘800 rappresentava. Immaginare di trovarsi in un bosco o su una mulattiera di campagna al tramonto, estrarre da un prezioso cofanetto in ebano imbottito di seta pregiata il necessario per preparare una calda cioccolata o un infuso a base di fiori d’arancio, non è la stessa cosa che scaraventarsi in un bar d’aeroporto e trovarsi tra altri mille turisti, fare la coda per lo scontrino e trangugiare un caffè. Questione di punti vista, ovviamente. Per i viaggiatori del passato il comfort e soprattutto lo stile anche nei piccoli e rituali gesti quotidiani, rappresentava un fondamentale. Anche il più “Indiana Jones” dei viaggiatori sapeva sfoderare al momento giusto, bicchieri e tovaglie di fiandra nella più remota delle terre.

Goethe
Nel 1700-1800 viaggiare era già considerata un’attività piacevole oltre che utile e auspicata, ma era assai faticoso anche per chi poteva permettersi ogni lusso. Portare con sé oggetti familiari serviva a preservare l’intimità domestica, ad esorcizzare la lontananza da casa. Il viaggiatore portava con sé quello che ovviamente rispecchiava la propria personalità.
Goethe durante il suo viaggio in Italia, stipò nel bagaglio:

” una buona maglia, un soprabito adatto a tutte le stagioni, tre paia di calze, camicie, fazzoletti, una Descrizione storico-critica dell’Italia in tre volumi, alcune carte geografiche, le sue opere complete manoscritte, una piccola collezione di minerali raccolti durante il viaggio, il tutto ben distribuito all’interno di un porta mantelli e dentro una valigia di pelle di tasso”.

Dimmi cosa porti
Per i lunghi viaggi attraverso l’Europa a bordo delle carrozze della Grande Armèè, Beyle preferiva portare nel bagaglio un paio scarpe di riserva e una borsetta contenente un rasoio, forbici, ago e filo. Secondo il gusto, la necessità e il vezzo di ogni viaggiatore si potrebbero analizzare i bagagli al seguito, dal loro contenuto si sarebbe capito molto dell’uomo. Pertinente e calzante la citazione di Victor Hugo in “Lettere scritte da Dunquerque”:

“la diligenza di viaggiatori era nel contempo stracolma di pacchi e pacchettini. La valigia di cuoio, fatta volare sull’imperiale della carrozza, conteneva una quantità enorme di effetti ed era gonfia come il gilè di un borgomastro”.

La valigia
Protagonista indiscussa dell’arte di viaggiare è la valigia. Essa contiene ciò a cui il viaggiatore del ‘800 non può rinunciare e i preparativi per un viaggio anche breve, erano minuziosi e richiedevano molto tempo. La contessa de Pange descrivendo il viaggio da Parigi per le terme di Dieppe (durata quattro ore), disse:

“ci si preparava con cura come se fossimo dovuti partire per la Cina. Portavamo con noi vari panieri, e un’intera batteria di coperte, flaconi di sale, acqua di colonia, alcol alla menta, scialli, ventagli, piccoli cuscini e uno spaventoso vaso da notte di caucciu’ che mi metteva in subbuglio al solo vederlo”.

Breve storia della valigia
Nella storia dei viaggi si può dire che il prototipo di valigia risale all’epoca medievale, quando gli averi personali venivano avvolti in coperte di pelle strette da cinghie di cuoio. Con l’invenzione delle carrozze è la volta del cofano o baule. Il baule inizialmente era fatto di pelle morbida, costellato di chiodi e rinforzi agli angoli, non per mero gusto estetico, quanto per prevenire gli inevitabili danni causati dagli scossoni a bordo delle carrozze.
Esisteva anche il cosiddetto VEAU, poi il “SAC DE NUIT”, fatto di tessuto di tappezzeria e di tela doppia, conteneva gli oggetti necessari durante le soste e notturne da trascorrere in vettura. Ed infine vi erano i bauli veri e propri fatti di legno con copertura di pelle, di tela e persino di tela cerata. Non mancavano i rinforzi e i “salvaspigoli” di metallo. Oltre ai bauli si usavano i porta-abiti, le cappelliere e anche i portacolletti. Fra il Seicento e il Settecento si afferma finalmente la valigia. Fatta di cuoio rigido, a forma di parallelepipedo con coperchio fermato da cinghie, era adatta alla misura dei cassoni delle carrozze.

La parola deriva dall’arabo Waliha, cioè sacco di grano. Vari gli stili e i materiali con cui veniva costruita tanto che ci furono moltissimi artigiani che si specializzarono in questo campo, tra tutti qualche anno più tardi, spicca il celebre Louis Vuitton. La sua storia inizia nel 1852, quando venne chiamato dall’Imperatrice Eugenia a Parigi, con l’incarico di imballare abiti e oggetti per un lungo viaggio. Vuitton era considerato il migliore nel campo dell’allestimento dei bagagli (un vera figura professionale dell’epoca) e in quell’occasione percorse a piedi una trentina di chilometri per raggiungere la dimora della Regina. La sua capacità e lungimiranza fecero di lui il migliore artigiano d’Europa, infatti da imballatore di vestiti divenne il più famoso produttore di valigie. Ma non si doveva necessariamente essere dei nobili viaggiatori per possedere la valigia, anche i ricercatori d’oro ne facevano uso, soprattutto in America durante la grande corsa allìoro negli anni 1869. Costretti ad inseguire la fortuna, i ricercatori percorrevano i lunghi tratti della strada ferrata sui vagoni dell’Union Pacific, tanto che la valigia subì una delle prime migliorie in fatto di robustezza: valigie rigide vennero progettate dalla più grande fabbrica del Colorado, la Samsonite, capaci di resistere agli urti, agli incendi e inevitabilmente agli scassi. Poi la valigia si trasformò in un oggetto da “mostrare”. Come per i souvenirs, i viaggiatori utilizzarono la valigia come prova tangibile del proprio viaggio, applicando etichette in bella mostra che recavano i nomi delle località visitate. I grandi alberghi non persero l’occasione pertanto le etichette, ovvero le réclames, venivano elargite e “appiccicate” con grande generosità tra i clienti migliori. Si racconta che in alcuni negozietti di Parigi si potevano addirittura acquistare “le borse delle etichette”, piccoli contenitori pieni di talloncini ornati di palme e simboli delle città più in voga. Poi, come sempre accade, tale usanza cessò. Vuitton, Hermes e tanti altri artigiani fecero a gara nella lavorazione di pelli e tessuti di primissimo pregio, ogni artigiano era gelosissimo della propria arte tanto che ognuno firmava segretamente il proprio prodotto una volta ultimato, avendo ben cura di nascondere il proprio autografo tra le pieghe della stoffa. Ma i veri ricchi viaggiatori non avevano bisogno di effici o stemmi di riconoscimento e si affidavano alla perfezione della più prestigiosa valigieria di Bosisio: discreta, raffinatissima, le sue valigie erano fatte di cuoio profumato,prive di qualsiasi identificativo, il vero esperto le riconosceva anche da lontano!

Ma veniamo al dunque: cosa riuscivano a stipare nelle valigie i viaggiatori di un tempo?

Corredo femminile
Per quanto riguardava la biancheria da notte, oltre alle lenzuola, coperte e cuscini, il viaggiatore più smaliziato metteva in valigia un sacco a pelo fatto con pelle di pecora. Le donne non rinunciavano ad una zanzariera di velo sottile e agli inizi del Novecento, la viaggiatrice Freya Stark, durante i suoi lunghi viaggi in Medio Oriente, adottò abiti in tessuti stropicciati che non richiedevano il ferro da stiro.

Corredo maschile
Nel corredo maschile non potevano mancare le armi e a questo proposito sono proprio i manuali di viaggio a consigliarne la dotazione. In particolare l’oracolo del Kitchiner impartiva precise istruzioni circa la manutenzione fra cui

“la necessità di sparare un colpo di tanto in tanto fuori dalla finestra della locanda per poter ripulirle e mantenerle pronte all’uso”.

Biblioteche da viaggio
Oltre ai vestiti e alle armi, nel bagaglio venivano riposte le guide di viaggio, gli strumenti scientifici, cannocchiali, barometri e altimetri. Anche gli acquerelli e i fogli da disegno trovavano la giusta collocazione (altrimenti come fare fotografie se la macchina fotografica non era ancora stata inventata?). Immancabili erano i quaderni per redigere il diario di viaggio e prendere appunti. Alcuni viaggiatori disponevano di necessaire provvisti di un cassettino con l’occorrente per scrivere. Riguardo alle letture poi, nulla era lasciato al caso, le carrozze più lussuose erano dotate di biblioteche in miniatura. Erano veri e propri esemplari di grande pregio artigianale ed erano fatte come scatole di ebano intarsiato al cui interno vi erano dei sottili ripiani su cui venivano riposti minuscoli volumetti in sedicesimi, (più o meno grandi quanto un palmo di mano). I microscopici libri erano assai curati e venivano rilegati in pelle. La dimensione dei volumi permetteva al viaggiatore di proseguire la lettura anche durante le passeggiate poiché tutti gli abiti disponevano di tasche. Se non ci si poteva permettere una lussuosa biblioteca da viaggio si ricorreva al già menzionato e robusto baule. William Hazlitt sottoposto a ispezione doganale alla frontiera dell’alta Savoia scrisse:

“Avevo due bauli. Uno era pieno di libri. Quando i gendarmi l’aprirono, fu come se avessero sollevato il coperchio del vaso di Pandora. Non avrebbero assunto un’espressione simile nemmeno se fosse stato piendo di polvere da sparo. Ai loro occhi i libri erano il corrosivo che distrugge il dispositmo e il potere dei preti….”

Il necessaire
Libri a parte, tutti gli effetti personali soprattutto quelli che facevano del viaggiare un’arte, erano contenuti nei necessaire, ognuno rigorosamente su misura per le funzioni da adempiere. Andando per mercatini d’antiquariato se ne possono ancora vedere ancora, sono ormai sgualciti o mancanti di pezzi, ma quale emozione toccarli e immaginare chi fu il viaggiatore a farne uso. Il Necessaire compare già nell’età moderna, XVI-XVII secolo, e non cessa di perfezionarsi fino agli inizi del ‘900. Concepito inizialmente come un semplice astuccio, assume la forma di piccola valigia fatta di legno pregiato ed intarsiato. Alcuni modelli erano ricoperti di madreperla, altri di osso di tartaruga. Idoneo contenitore di lusso atto a perpetuare gli agi della vita domestica, divenne ben presto un oggetto ricercato. Poteva essere anche un prezioso dono e l’abilità degli artigiani produceva modelli unici e inimitabili.

“Il necessaire che Luigi Xv dono’ al Duca d’Amount nel 1758 era fatto di noce, l’interno era foderato di seta azzurra e conteneva quattro bottigliette di vetro tagliato munite di tappi d’argento, una coppa e alcune spugne per i denti”.

Optionals
Maria Antonietta aveva un necessaire composto di cento pezzi e Napoleone ingaggiò un famoso artigiano per farsi costruire alcuni esemplari da donare ad amici, parenti. Esisteva anche il necessaire per la farmacia che conteneva: astringenti, sali odorosi, olio di ricino, oppio puro, olio di lavanda, bilancine, bisturi per salassi, un piccolo mortaio con pestello e sempre una grattugia per il rabarbaro. Oltre alle medicine c’era un prontuario con elencato il contenuto e le relative istruzioni…

“quattro o cinque gocce di essenza di lavanda distribuitre sulla superficie del letto elimineranno per la nottata cimici e pulci”.

Anti ribaltamento
Un buon necessarie conteneva anche gli utensili per poter cucinare pranzi di emergenza o condire i cibi delle locande con le innumerevoli salse che i viaggiatori usavano portare in viaggio. Nulla si ribaltava! Bottiglie, bicchieri, tazze in porcellana, oro e argento erano sapientemente riposti nelle valigette di mogano o palissandro.

“La robustezza e l’estrema precisione con cui i singoli oggetti si componevano era la caratteristica piu’ evidente: i singoli pezzi entravano uno dentro all’altro combaciando perfettamente nei rispettivi alloggi, scosse e urti della carrozza, a volte perfino i ribaltamenti assai frequenti, non consentivano deroghe alla massima precisione nella costruzione”.

Paolina Borghese stupì amici e parenti, il suo necessaire faceva invidia e comprendeva novantasei pezzi suddivisi in tre gruppi: quaranta per cibi e vivande, quarantasei per la toeletta (spazzole, pettini, acque di colonie), dieci per scrivere e cucire. Un necessaire Top Level!

Occhiali da sole
Cosa usavano gli aristocratici viaggiatori del Settecento e Ottocento al posto degli occhiali da sole? Come per la nascita del costume da bagno anche questa è materia per stilisti e appassionati di moda, però il primo esploratore occidentale dell’Artico, il Dr. John Rahe, li aveva. Ne costruì un paio utilizzando un osso di balena, come usavano gli Inuit: su una striscia ricurva di osso alta due dita, veniva praticata una fessura molto stretta così la luce filtrava il meno possibile. L’osso si legava poi alla nuca con un paio di stringhe.

Il viaggiatore più trasandato
Un aneddoto curioso riguarda l’esploratore Speake: durante il suo viaggio alla ricerca del lago Tanganica, il suo look lo mise decisamente in cattiva luce agli occhi della rispettosa Royal Geographical Society di Londra. A quell’epoca tutti gli esploratori usavano portare nel bagaglio un paio di bretelle, ma lui preferiva utilizzare un semplice nastro passato dentro ad un orlo cucito per tenere su i pantaloni all’altezza della vita. Venne giudicato “trasandato”. Cose che capitavano nel lontano ‘800, ma lo stile per i viaggiatori, anche nella sperduta Savana o al Polo Nord, era un fondamentale.