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Il Grand Tour

Tourist è un termine che compare nella lingua inglese alla fine del XVIII secolo come sinonimo di viaggiatore, mentre tourism compare per la prima volta nell’Oxford English Dictionary nel 1811. Entrambi i nomi hanno origine dal termine francese Tour che un tempo identificava il viaggio compiuto per scopi istruttivi, ovvero il viaggio di studio, Grand Toru, assai praticato dai figli delle famiglie agiate europee e soprattutto inglesi. Tourist e Tourisme invece, si affermarono nella lingua francese solo nel 1816 e 1841 per trovare traduzione ed uso anche nella lingua italiana: il termine turista, risale al 1837 mentre turismo al 1905.

Il periodo di massimo splendore del Grand Tour fu la fine del ‘700 e le tappe obbligatorie erano Parigi, Roma, Venezia, Firenze, Napoli. Il Grand Tour fu il movimento di viaggiatori che andavano di destinazione in destinazione attraverso un viaggio che avrebbe dovuto significare il completamento dell’itinerario formativo personale e che diede origine a moltissimi libri di viaggio e guide turistiche. Grazie al miglioramento della rete stradale e quindi dei mezzi di trasporto gli esponenti della nobiltà britannica, arricchita dal commercio e dallo sfruttamento coloniale, rivolsero, la propria attenzione ai luoghi detentori di arte e cultura, Le città attraverso i loro artisti, scultori, pittori, o le vestigia di Chiese, tombe e bellezze naturali, richiamarono sempre più l’attenzione di quei viaggiatori, modificando così il viaggio in un’occasione di piacere. E non poteva che rappresentare l’indispendabile bagaglio culturale per i propri figli. Il viaggio inteso come conoscenza e apprendimento viene quindi tramandato come prolungamento della loro formazione, un modo inoltre per studiare anche le lingue straniere oltre che di intrattenere importanti e strategiche relazioni sociali. Nell’epoca del Grand Tour l’Italia, in quanto meta, detiene il ruolo primario grazie al patrimonio artistico e paesaggistico unico al mondo. Tale modo di viaggiare culminò fino a rappresentare una vera moda ed un obbligo sociale a cui nessun appartenente a nobile o aristocratica famiglia poteva sottrarsi se voleva perpetuare il proprio Status.

Storicamente, uno dei fattori più importanti che contribuirono al diffondersi del Gran Tour, ha come data simbolica il 1604 anno in cui fu decretata la pace tra la Spagna e l’Inghilterra. A partire dalla dalla Glorious Revolution che determinò una stabilità politica maggiore all’Inghilterra, ecco che i suoi abbienti abitanti divennero i più frequenti viaggiatori dell’epoca che culminò alla fine del ‘700. Prima tappa fu appunto l’Italia, seguì poi il Mediterraneo e la passione del Sud, come la definì John Pemble.

Il Grand Tour richiedeva uno sforzo organizzativo e di capitali assai notevoli, soprattutto considerando che si trattava di soggiorni molto lunghi, la cui durata era anche di anni. Col passare del tempo, sempre in conseguenza all’ammodernamento di strade e mezzi di trasporto, la durata media fu inferiore all’anno e di conseguenza il Grand Tour si diffuse anche fra le classi non aristocratiche anche se sicuramente agiate. Per dare una vaga idea di cosa volesse dire l’organizzazione di un Grand Tour in termini di costi e mezzi, basti citare che per ogni nobile rampollo, la famiglia doveva provvedere al suo mantenimento per un periodo di almeno un anno anche più, pagando quindi vitto, alloggio e i costi aggiuntivi per l’apprendimento delle lingue straniere, per i divertimenti, per i vestiti, ma non solo….al seguito infatti non potevano mancare le guardie del corpo, i camerieri, cavalli e carrozze, quindi cocchieri e palafrenieri, facchino, cuoco privato, almeno un contabile e l’istitutore. L’Istitutore era una figura di estrema importanza, poichè il suo compito era di “tenere d’occhio” il giovane, di provvedere alla sua incolumità, al suo piano di studi, vegliare sulle persone che frequentava, nonchè al reperimento dei soldi necessari pagamento di tutti i conti che durante il lungo viaggio si andavano sommando. Si sviluppò in quegli anni, l’uso delle lettere di credito, ovvero il bancomat di oggi! Altrimenti come poteva portare appresso tutti i soldi occorrenti ad un viaggio così lungo?

Per non parlare poi del bagaglio che il viaggiatore del Grand Tour si portava appresso. Questo aumentava a dismisura, di città in città le casse e i bauli venivano stipati di quadri, ventagli, antichità, tabacchiere, opere d’arti ovvero di tutti quegli oggetti testimonianza tangibile del viaggio. Oggetti preziosi e di valore, che contribuivano non poco al loro peso ed ingombro. Si narra che molti viaggiatori furono costretti durante il proprio Grand Tour, ad imbarcare i propri bagagli per inoltrarli al proprio domicilio, diversamente sarebbe stato impossibile proseguire il viaggio. John Evelyn per esempio, durante il suo Tour in Italia fu obbligato a fare una tappa a Livorno per spedire parte del bagaglio a casa. Se oggi i turisti si limitano ad acquistare piccoli e kitch souvenir in ricordo del proprio viaggio, i viaggiatori del Grand Tour riempivano le stive con opere d’arte, per lo più quadri e sculture. Il bagaglio degli acquisti fatti dal Duca di Beaufort consisteva in ben 96 casse contenenti opere d’arte acquistate in Italia, mentre quello di Lord Burlngton ammontava a ben 878 valigie…..

La moda del Grand Tour fu interrotta dalle guerre, per oltre 20 anni di guerre della Rivoluzione Francese e quando il piacere di viaggiare riprese, le modalità erano ormai cambiate. Al Grand Tour subentrò nella seconda metà dell’Ottocento l’inizio di una nuova era: l’industria del turismo. Se il latino faceva da lingua franca per la comunicazione, oggi i diretti discendenti del Grand Tour sono probabilmente i giovani che viaggiano con l’inter-rail e si muovono tra i vari ostelli della gioventù in giro per l’Europa. Aiutandosi magari nella comunicazione facendo sosta nei sempre più diffusi internet cafè per scambiarsi le lettere elettroniche, laddove l’sms per vincoli strutturali non è sufficiente. In entrambi i casi si viaggiava protetti: da una rete di conoscenze prima, da una di informazioni poi. In entrambi i casi, ora come allora, si viaggia per conoscere il mondo e sé stessi, ma soprattutto per completare la formazione.