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Kon-Tiki

KonTiki_620_091847_620x350La zattera utilizzata nella spedizione di Thor Heyerdahl si chiamava “Kon-Tiki”, in onore del Re Sole Inca. La leggenda rappresentò per l’esploratore norvegese il cosiddetto “chiodo fisso”: Heyerdahl voleva provare che i polinesiani altri non erano che discendenti Inca che dalle coste peruviane, grazie allo sfruttamento delle correnti dell’Oceano Pacifico, approdarono all’Arcipelago Polinesiano.
La zattera fu costruita interamente con legno di balsa, era lunga dieci metri da un lato per circa 14 dall’altro e contava nove colossali tronchi alla base che erano stati preventivamente appuntiti all’estremità secondo il costume indigeno affinché l’acqua scivolasse meglio. Aveva una vela issata a croce con l’albero, spatole sporgenti dal fondo e un lungo remo a poppa usato come timone e venne assemblata presso un hangar nei pressi del porto militare di Lima. Sui tronchi che costituivano la base vennero praticate alcune profonde scanalature per dare presa alle gomene che avrebbero collegato saldamente il complesso. “In tutta la costruzione non si usò un solo chiodo, non una bulletta, non una spanna di cavo metallico”. I tronchi infatti vennero uniti grazie a sapienti legature effettuate con liane.

Al centro della zattera venne costruita una capanna di bambù che poggiava sopra un tappeto fatto anch’esso con liste di bambù intrecciato. La vela dipinta a mano, recava l’effige del Re Inca Kon-Tiki.
Per organizzare la spedizione, il norvegese Heyerdahl si recò a New York, sede ideale per divulgare la sua teoria e applicare le ricerche antropologiche fino ad allora svolte. Come punto di partenza utile per la possibilità di trovare finanziatori interessati al progetto egli si rivolse innanzitutto al Museo Etnografico di New York dove espose il progetto, ma gli venne fatto notare da un eminente professore che “nessuno dei popoli dell’America meridionale era emigrato nelle isole del Pacifico” per un motivo molto semplice: “perché non avevano navi!”.
Heyerdahl risposte timidamente al suo interlocutore: “ma conoscevano le zattere, le zattere di balsa”.

Il vecchio professore sorrise e si limitò a rispondere al giovane Thor: “si, si, provi lei a navigare dal Perù alle isole del Pacifico su una zattera di legno!” e con queste parole lo liquidò.
Lo stesso giorno Heyerdahl sconsolato ma per nulla vinto, confidò ad un amico, vecchio capitano in pensione: “sono sicuro che gli Indii attraversarono il pacifico sulle loro zattere e sono pronto a fabbricarne io stesso una, e a veleggiare sull’Oceano solo per dimostrare quella possibilità”. Presso la Casa del Marinaio norvegese, dove Heyerdahl alloggiò per diverso tempo, conobbe veri marinai e capitani di ventura e dai loro racconti apprese che “onde e cavalloni non aumentano di violenza con la profondità dell’acqua e la lontananza delle coste, anzi, spesso una raffica di vento è più insidiosa vicino alla spiaggia che in alto mare. Capì che un mare burrascoso poteva rovesciare molte tonnellate d’acqua sopra la coperta di un bastimento, mentre nello stesso mare un modesto legno poteva danzare sulla cresta delle onde”.
Su alcuni testi rari trovati in biblioteca furono rinvenuti gli appunti dei primi Europei che approdarono alle coste del Pacifico e le descrizioni e i disegni riportati, illustravano grandi zattere di balsa. Dunque non solo potevano navigare per lunghi periodi, ma si potevano anche manovrare. A questo punto rimaneva un dubbio a Heyerdahl: chi poteva costruire una zattera identica a quella costruita secoli prima?

Il legno di balsa si trovava solo in Sud America, così Heyerdahl decise di andare in Perù assieme ad Hermann Watzinger, uno dei compagni di viaggio. Non immaginavano neanche lontanamente che avrebbero vissuto un’avventura nell’avventura…

Le prime difficoltà non tardarono, appena giunti a Lima dovettero ingegnarsi all’inverosimile se volevano realizzare il loro ardito progetto. La spedizione infatti doveva partire dal Perù, secondo gli studi fatti da Thor, ma il legno con cui erano fatte le antiche zattere, ideale per la navigazione poiché è più leggero del sughero, non si trovava più lungo la costa, bensì al di là delle Ande, in Ecuador. In città avrebbero potuto trovare legno in quantità, ma non in forma di tronchi. Dalla seconda guerra mondiale in poi era stata fatta strage di questi preziosi alberi che nascevano lungo le coste per scopi industriali nella costruzione degli aeroplani. I commercianti dissero ai due giovani che se volevano dei tronchi interi li avrebbero trovati solo nell’interno. Fu così che i due giovani andarono a Guaychil.

Oltre al reperimento dei tronchi sussisteva un’altra complicazione rappresentata dalle speciali autorizzazioni governative occorrenti al transito della spedizione sul territorio sudamericano. Anche se era già il 1947, non era certo normale che un gruppo di uomini si presentasse ad una frontiera con il solo biglietto aereo di andata dicendo: “scusi, arriviamo dal Perù, transitiamo in Ecuador, ci costruiamo una zattera, poi scendiamo verso il mare e andiamo in Polinesia”.
Era esattamente ciò che fecero Heyrdhal e i suoi compagni, ed era incredibile: con le loro mani costruirono la zattera e i tronchi se li tagliarono loro! Superarono i cavilli burocratici con l’aiuto di amici e conoscenti, attraverso lettere di presentazione, incluso l’interesse personale dell’ambasciatore norvegese.
Finalmente Thor ed Herman poterono iniziare le trattative per l’acquisto del legno.

Si trovavano nel regno della balsa, ma era impossibile acquistarne dal momento che era cominciata la stagione delle piogge e tutte le strade nella giungla erano impraticabili a causa dei torrenti e del fango. Bisognava rinviare il viaggio di sei mesi. Thor ed Herman di fronte a questa situazione rimasero inizialmente spiazzati per qualche giorno. L’idea di aspettare era fuori discussione, la traversata del Pacifico doveva avvenire entro tre mesi per sfruttare le condizioni climatiche più favorevoli inoltre, la macchina burocratica ormai era avviata: cosa si poteva fare?
Si rivolsero al re della balsa, un certo Don Gustavo, il commerciante di legno più potente dell’Ecuador. Ma anche Don Gustavo li dissuase. “Erano in una stanza d’albergo a Guayachil e demoralizzati senza sapere che pesci prendere, Thor silenzioso si mise ad osservare una cartina scolastica appesa al muro e gli venne un’idea. -I tronchi ce li andiamo a tagliare noi-, disse”.

Se era vero che non potevano entrare nella giungla arrivando dalla costa, potevano però raggiungere la cima dei picchi nevosi delle Ande, poi scendere nella giungla e da li’ avrebbero trasportato i tronchi lungo il fiume fino al mare. Detto- fatto in questo caso trovarono conferma, il giorno dopo Thor ed Herman partirono per Quito.

Appena arrivati contattarono l’ambasciata americana e illustrato per l’ennesima volta il progetto, ottennero una jeep con tanto di autista pratico dei luoghi, che li accompagnò tra sterrati e mulattiere, nevi e freddo, fino in cima al pendio occidentale e quindi ridiscesero verso le foreste di Quivedo. Arrivati in prossimità della meta, le piogge e il fango resero sempre più arduo il transito, ruscelli e torrenti presto si trasformarono in un grande fiume impossibile da guadare con la jeep e furono costretti a fermarsi.

Dopo alcuni minuti trascorsi inerti sotto lo scrosciare della pioggia, spuntarono dalla giungla alcune persone e molti bambini. A gesti e con uno stentato spagnolo Thor e Herman cercarono di farsi capire. Con l’aiuto del capo villaggio e di alcuni uomini, Thor ed Hermann trovarono il legno di balsa, finalmente! Da prodi norvegesi quali erano, si armarono di accette e seghe, abbatterono una ventina di tronchi giganteschi e ognuno fu battezzato con un nome di una delle divinità Inca. Poi i tronchi furono trainati fuori dalla giungla con i cavalli. Se è vero che il legno di balsa è più leggero del sughero, va detto che i tronchi appena tagliati erano invece pesantissimi perché intrisi di linfa, ognuno pesava all’incirca una tonnellata. Li fecero rotolare ad uno ad uno fino al margine del fiume, poi “vennero tuffati nell’acqua provocando altissimi getti di fanghiglia”. Dopo aver ballonzolato in qua e là, non si mossero più e con robuste liane vennero legati formando due zattere di media grandezza, attaccate una dietro l’altra. Caricarono moltissime liane e canne di bambu’, che sarebbero servite poi per la costruzione, e i due uomini aiutati da alcuni abitanti del villaggio, tagliarono gli ormeggi e vennero rapiti dal vortice dell’acqua e trascinati rapidamente lungo le rive della giungla.

Il fiume s’ingrossava a causa delle piogge, ma più pioveva più i tronchi filavano veloci e stabili, era perfetto! Stavano vivendo un’avventura nell’avventura, era incredibile.

Il legno venne trasportato lungo il fiume fino dove il Palenque sfocia nel fiume Guayas, da qui fu trasportato dal cabotaggio costiero fino a Guayachil, poi venne fatto asciugare fino a che giunse il momento per iniziare i lavori di costruzione della zattera.

Il 27 aprile del 1947 fu issata a bordo della KON-TIKI la bandiera norvegese e la banchina del porto di Callao si affollò di giornalisti, curiosi ed esponenti di ogni ordine e grado. Tutto era pronto, finalmente l’avventura stava per iniziare.