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Leggendo tra i vari articoli che stagionalmente imperano sui quotidiani e patinati, parrebbe che il campione dei luoghi comuni Non-esistono-più-le-stagioni-di-una-volta, abbia un concorrente. Stiamo per assistere al Non-esistono-più-le-vacanze-di-una-volta. Ora va di moda il “summer-job”. La vacanza lavoro.

Anziché perdersi nella flanerie estiva, ci si trova un bel lavoretto che dovrà tassativamente essere antitetico alla professione abituale. La nuova classe dirigenziale statunitense detiene al momento il primato, ma anche in Europa non si scherza; il summer-job ha tra i suoi accoliti: avvocati che diventano falegnami, imprenditori improvvisati giardinieri, letterati sopraffatti da estenuanti traslochi. Questione di gusti. Il lato buono del summer-job? Non si devono prenotare alberghi, non si fanno code ai caselli autostradali, ma soprattutto fine delle ansie meteorologiche. Tanto si lavora!

Qual è la vacanza più giusta, quella che per antonomasia si può definire sana? Fare il giro del mondo in quattro giorni, oppure abbandonarsi al vacuum, cioè al vuoto, all’essere vacante? I ritmi isterici della vita occidentale propongono tour estivi spaccafiato, perché quel vuoto, oggi, fa paura. Sembra un controsenso. La parola ozio è bandita, la contemplazione diventa un improbabile menù turistico, il dolce far nulla è obsoleto. Masse di italiani ancora oggi nuovo millennio, sono obbligati a concentrare le ferie nel mese di agosto, si scazzottano, si sfregano, si affannano per battere il record: vedere tutto, sapere tutto, mangiare tutto, nel minor tempo possibile. Certo, mancano i soldi. Ma soprattutto il tempo, un bene in via d’estinzione. Ma come sosteneva Wittgenstein, attenzione: “i turisti, davanti a un monumento, leggono il baedeker e proprio la sua lettura, impedisce loro di vedere il monumento.”

Cosa fare dunque in vacanza? Andare al mare o sui monti? Pigroncellare o riprodurre il ritmo asfittico di tutti i giorni? Chi predilige la vacanza in montagna forse segue l’esempio di Gianluca Ratta. Ratta ha percorso nel 2001 ben 7634 chilometri a piedi, consumando 3 paia di scarpe. Nel gennaio 2003 è partito per l’Europa. Arrivo previsto a Londra, entro il 2008. Per le vacanze dei prossimi cinque anni lui sa già cosa fare, beato. Comunque grazie a uomini come lui, si è riscoperto il gusto in vacanza per una sana attività fisica, sicuramente economica. I più maliziosi penseranno ironicamente alle parole di quel filosofo che disse:
– l’andare a piedi, non è mero movimento di corpo, ma puro pretesto-

(l'”Arte di andare a passeggio”, Schelle)

Non la pensavano così i primi alpinisti di fine Settecento che scalarono il Monte Bianco, i quali trascorrevano le vacanze ben lungi dal poltrire. Dopo il felice esito della prima ascesa del versante italiano datata 1786 firmata da Jaques Balmat e Michel Paccard, il Monte più alto d’Europa divenne la meta ambita d’alpinisti e villeggianti, chi in cerca d’emozioni e chi di refrigerio per sottrarsi alla calura estiva. La meta ambita all’epoca era Courmayeur.
I turisti alloggiavano presso l’Hotel Royal Bertolini di Courmayeur che divenne famoso per aver ospitato i più celebri scalatori del Bianco. Presso l’Albergo c’era il Registro degli Arrivi e delle Partenze, dove venivano trascritti i nomi dei clienti e le rispettive date di transito. Una prassi comune per molti albergatori, anche negli anni successivi, ma il Registro dei viaggiatori dell’Hotel Royal era qualcosa di più…

Sul Registro non erano solo riportati i nomi degli ospiti, ma gli ospiti stessi vi annotavano curiosi aneddoti e sintetici appunti di viaggio, per descrivere le loro imprese sui monti. Con il passare degli anni, il libro dei viaggiatori si trasformò in un vademecum di preziosa utilità: tutti lo leggevano, alla ricerca d’informazioni per il viaggio da affrontare e tutti, di ritorno dalla scalata, annotavano le proprie osservazioni, in alcuni casi addirittura delle vere relazioni di viaggio. Orario di partenza, tempo impiegato, condizioni meteorologiche trovate, consigli tecnici e pratici, nomi di guide alpine, referenze. Emozioni per la riuscita della spedizione, ma anche dolori, dovuti ai tragici incidenti che purtroppo non mancarono. Il registro degli Arrivi e delle Partenze si trasformò in una sorta di quotidiano, o come Giuseppe Garimoldi lo ha definito: “un bollettino di vittorie e sconfitte”.
Il turismo alpino di fine ‘700, testimonia come la pigrizia fosse nemica dell’ozio, ma questo non toglieva nulla all’arte della contemplazione che come soleva dire Isabelle Eberhardt “è la miglior cura dell’anima”. Le vecchie foto ormai sbiadite ritraggono alpinisti inglesi, francesi e tedeschi, immortalati sulle cime innevate con pantaloni, giacca, panciotto e cappello… come se facessero una passeggiata nel centro cittadino, ma quanta fatica… Lo sanno bene gli alpinisti, basta rileggere la relazione di viaggio di Edward Whymper datata 1865, ecco un estratto:
“il 22 giugno arrivo a Courmayeur dopo aver compiuto la prima ascensione del Grand Corner – la salita al Dente del Gigante – e un tentativo al Cervino. Il 24 giugno, prima ascensione delle Grandes Jorasses. Lasciato l’Hotel all’1 e 35 di notte, raggiunto la vetta all’una pomeridiane, ritornato a Courmayeur alle 8.45 della sera. Tempo impiegato: ore 15 e 45 minuti”(…)

Edward Whymper aveva vent’anni quando arrivò sulle Alpi italiane, quindi aveva energia da vendere, durante il suo zelante soggiorno montano se la vide brutta. Proprio sul registro degli ospiti egli annotò: “se s’ingaggia una guida per attraversare la Val Tournanche, occorre fare molta attenzione, l’uomo che ho ingaggiato venne meno alla sua parola nel più abominevole dei modi; si rifiutò di andare nella Val Tournanche come era stato pattuito e anzi mi derubò dello zaino”.
Il giovane Whymper era in realtà di professione un disegnatore, (poi divenne uno scalatore), chissà quali dissapori ebbe con la sua guida. Comunque il ragazzo pur di ritrarre le montagne, dopo la fuga della guida, compì da solo e senza bagaglio l’ascesa del Dent d’Herens. Decise quindi di scendere ugualmente al Breuil, e completato il lavoro, ritrovò da solo, la strada verso casa. Un disegnatore improvvisato alpinista, quindi il summer-job esisteva già nel 1800!
Ozio o non ozio, mare o monti, in vacanza l’importante è “staccare la spina”, modo di dire che rappresenta una perla della saggezza popolare. Lo sapeva bene il Mantegazza, quando nel lontano 1858 si trovò a bordo dello steamer postale in partenza da Southhampton per un lungo viaggio che lo avrebbe portato a Madera. Egli scrisse:

“l’uomo avvezzo a consumar la vita giorno per giorno, ora per ora,
minuto per minuto,
portato sopra una corrente che mai non posa,
si arresta con voluttà crudele in quei rari momenti,
nei quali vi è rottura improvvisa del filo che lo ha trascinato lungo l’orbita della vita;
si compiace di quell’istante in cui l’arresto brusco delle abitudini più care,
il mutar violento di paese,
di uomini,
di cose,
l’abbandona solo a sé stesso,
in mezzo a un gran vuoto,
…quasi nascesse una seconda volta.”